Silvio Ramat

tzitzeraz
00mercoledì 18 marzo 2009 01:23
Non c'è profanazione, si consacrano
tutti in orbita i significati,
la cometa fa strada, non la possono
incantare preghiere qualsiasi.
È per questo
che profaniamo noi un senso compiuto,
il nostro "come eravamo" (ma poi: come?), sfidando
in aria di lacrime l'inaspettata marea,
il surf ormai quasi in punta di secolo
su tavole impoverite da un'estesa
disattenzione, dal digiuno e dal buio,
e al primo urto si è già più che perduti,
disfatti.


...........................................


Non è solamente un dividere
le spese, adoprando la casta
ispirata equità dei pionieri –
non un contar le gallette
e man mano le briciole – o un fare
in spicchi eguali l'arancia
(frutto sempre più di ieri,
colori ipnotici ormai
piuttosto che veri) – né basta
diradare gli appuntamenti
con la borraccia, onorando
la goccia che lungo il bordo
rischia di perdersi –
no,
dividere il viaggio vuol dire
sfiniti, ogni sera, finirsi
gli occhi sulle carte, in ricalchi
di nere linee, già previste,
o tracciarne di nostre, azzurre
o rosse – "Domani saremo…".
Dividere il viaggio è sparire
a noi stessi, spartire pensieri
(un pane che non si consuma);
compatire, quando uno grida
nel sonno a cattive memorie
che gli scampanano dentro
e tira un po' più dalla sua
la coperta, se mai lo difenda
in quel punto che si contrae
l'universo in una tenda.


..........................................

Le mani vivono intere sul piccolo piano di fòrmica,
le mani felicemente distolte
dalla scrittura. Dorme la tortuosa
intelligenza, dorme la prima parola
con l'ultima nel moto delle mani
così attente così implacabilmente
illetterate.
Le mie mani: preparano
il presente, cucinano stelle
d'arte povera, hanno due figli,
li scoprono pieni di mani, di voglia
d'inventare e inventarsi mescolando le carte
e gli elementi: non tutti finiti
nel volo di una tovaglia che plana sul piano di fòrmica –
il volo forse del tappeto magico
d'ogni sera, che saprebbe portarci
in qualche altro occidente e non lo fa.

...........................................

Che pece tenera l’inesperienza
tua e mia dell’umano, che amore
l’amore catafratto d’ironia,
questo illudersi a ore alterne d’una
maturità che non esiste o almeno
non esiste nel nostro destino.
Quanto poco fu il tempo per descriverti
e meno ancora quello che serviva
a viverti. Illeso amore, accento
di sorriso sulla mia prima costola
fratturata, questo scherzo sottile
di primavera, e al suo velo invisibile
io e te ringiovaniti nella spera
del vaniloquio: la chiave è sul banco
che ti apre e mi vuota come l’uno
in euforia dopo l’altro i bicchieri.







il Poeta 1
00venerdì 3 aprile 2009 15:08
Ho conosciuto silvio ramat, scrive con la ramazza..., ma fa parte della pseudo cultura = morte della POESIA!
Ciao...
AMORE
tzitzeraz
00lunedì 25 gennaio 2010 14:24


l'ho riletto dopo tanto
trovate che scriva con la ramazza ??

metamorfosi
00martedì 26 gennaio 2010 17:52
Mi sembra che la bellezza delle poesie si "dica" da sé. Ne aggiungo altre tre, l'ultima è una bella strigliata agli scritti contorti (e tu poeta, non essere invidioso della ramazza altrui!:-)

grazie Nina...un saluto

D.




Da "In parola"


Tra i rami, dopo i rami



Lo distinguo davvero, ora che manca.

L'albero che fu il perno dissestato del campo,

cancellato è più mio, posso parlarlo.

Al vento mancano i rami per far musica

ma un ramo altrove è il fuoco di pienezza

che accelera l'annata, senza nidiate domani.

Di quanto rattrappisce sotto l'ultima assenza,

di tanto ci ripaga, nella zona

che si disse albero, un polline sulla cenere:

neanche una cicatrice si rileva,

tutto è in pari, e il fuoco pende in qua.

1973

**********************************************


Da Pomerania

*

Dal rintocco dell'ultima cesura

la tua voce recitante potrà

non da altro spinta che da natura

risalire: così lungo una tela

senza smagliatura il colore va

dal cinereo al cilestro all'azzurro

al turchino sfrangiantesi in viola

e avanti e dopo ogni punto è del cielo

dove la Morte dice alla Parola:

stammi in grembo seguimi nella gola

del vento, non puoi farcela da sola,

son io la casta diva, la tua scuola.

1986


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Hai voglia a sforbiciare! ci son chiome

che infoltiscono appena vi s'accosti

una lama – e lo stesso certe siepi

al minimo sospetto di cesoie.

Così la rampicante minutaglia

degl'inchiostri sibillini, che va

lungo le afflitte e le ridenti vie

di carta, simulata verità,

quella non la riduce non la taglia

l'autenticante ossessione, la febbre

dell'essenza, del nòcciolo.

(Tu prova

a colpire, mentre sogni o dal vero,

la punta dei campanili, decàpita

dei gigli rari e agili le torri:

a ogni crollo è più vasta la città).

1989

il Poeta 1
00domenica 31 gennaio 2010 20:18
Scrivere con la ramazza vuol dire mettere insieme nozioni di cultura generale, non usando l'ispirazione in Riflente...
Questi insegnanti di professione senza AMORE alimentano solo la casta della pseudo-cultura...

Se mi son permesso di dire la mia in libertà su Ramat...
Cercate in Officina della Poesia o Internet: Al Comando Carabinieri di Zingonia...
Lorenzo Pontiggia
Gentilmente chiedo: usando la vostra Riflente...
Rispondiate in merito...

Grazie...

Allego l'ultima poesia che stavo pubblicando:


Ricominciamo


AMORE
allontaniamo nuvole,
scorie, tossine
circolanti in viziosi giri
di non solo parole...


Ricominciamo
ad usare con naturalezza
la Riflente...
L'AMORE si specchierà
come la prima volta...


marylory
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