L'esistenzialismo è un umanismo - J. P. Sartre

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vanni-merlin
00mercoledì 8 novembre 2006 22:03
L'esistenzialismo è un umanismo - J. P. Sartre



a cura di:
Maria Marasco




Il saggio del 1946 “L’ esistenzialismo è un umanismo” è la versione leggermente modificata della conferenza che J.P. Sartre aveva tenuto nell’ottobre del 1945 davanti al pubblico parigino del Club Maintenant. La conferenza aveva anzitutto lo scopo di reagire alle accuse e ai fraintendimenti più grossolani che circolavano, sia negli ambienti di destra che in quelli di sinistra, intorno all’esistenzialismo in genere, divenuto tema di moda negli ambienti culturali, e intorno al cosiddetto ”esistenzialismo ateo” dello stesso Sartre. Gli avversari di diversa tendenza lo presentavano come una dottrina dell’assurdo e del vuoto, materialista e diabolica secondo gli uni, contemplativa e pessimistica secondo gli altri. Una concezione che, privilegiando gli aspetti peggiori dell’uomo e trascurando la solidarietà umana, fa dell’esistenzialismo una dottrina anti-umanistica. A queste critiche Sartre risponde ribaltando completamente il giudizio degli avversari. Egli infatti rivendica il carattere umanistico della propria filosofia, sostenendo che l’esistenzialismo pone al centro della sua attenzione l’incondizionata libertà dell’uomo che è, al tempo stesso, assoluta responsabilità del soggetto e delle sue scelte. Sartre esclude sia la tesi dell’esistenza di un Dio artefice che ha creato l’uomo in conformità ad un prototipo ideale prefissato, sia la versione laica di questa convinzione, ossia la tesi di una natura umana dotata di prerogative specifiche – e pertanto universale, immutabile e altrettanto prefissata. La tesi essenziale dell’esistenzialismo sartriano è pertanto quella secondo cui l’esistenza precede l’essenza; la conseguenza di ciò è che non vi sono principi a priori che possano stabilire il significato del vivere dell’uomo, il quale è totalmente responsabile di fronte alla vita. L’uomo è privo di fondamenti, non ha valori predeterminati a cui riferire la propria condotta e deve pertanto assumersi la piena responsabilità delle sue azioni e deve costruire da sé i principi del suo comportamento.

L’assenza di Dio (e di ogni altro fondamento o valore) obbliga l’uomo a creare da sé i propri fini e i propri significati.

In conclusione, il significato della filosofia sartriana può essere così riassunto: l’uomo non è nient’altro che ciò che fa di se stesso. Egli non ha una natura che preceda la sua azione e che è capace di condizionare la sua azione; in altre parole non c’è determinismo e l’uomo è totalmente libero, ma questa sua assoluta libertà è al tempo stesso una condanna, giacché gli impone in ogni istante di inventare e re-inventare se stesso. L’essere dell’uomo è totalmente nelle mani dell’uomo stesso. La sua essenza emergerà solo attraverso i progetti e le scelte che egli saprà realizzare.



Le critiche all’esistenzialismo.

Il testo prende le mosse dalle critiche che marxisti e cattolici sollevano nei confronti dell’esistenzialismo. I primi sostengono che l’esistenzialismo, esaltando l’uomo isolato che non comunica e perciò non solidarizza con gli altri uomini, nega il valore dell’azione e pertanto accetta di fatto l’ordine sociale esistente: si tratta cioè di una filosofia contemplativa. I cattolici ritengono, invece, che la negazione di Dio, ossia di un fondamento e di un fine della vita umana, abbia come conseguenza la mancanza di un criterio etico per valutare l’azione dell’uomo per cui i suoi atti sono del tutto gratuiti, cioè immotivati. La conseguenza è un’immagine dell’uomo completamente negativa, che non lascia alcun spazio alla speranza.

Sartre fa quindi un paragone tra la descrizione della vita umana espressa nei suoi romanzi esistenzialisti e quella tracciata dal Emile Zola, massimo esponente del naturalismo francese, nel romanzo La Terra. Come mai, si chiede ironico Sartre, chi accetta la visione del mondo di Zola, retta da un determinismo biologico e concentrata sulla meschinità umana, si trova poi disgustato di fronte ai romanzi esistenzialisti, e accusa l’esistenzialismo di privilegiare gli aspetti immorali dell’uomo? Sartre si risponde che non è tanto il pessimismo, ossia la persuasione che la vita umana sia contraddistinta da vicende malvagie o ripugnanti che turba i lettori dei suoi romanzi ma , al contrario il fatto che l’uomo vi viene presentato il solo e unico responsabile dei propri atti e comportamenti.



L’esistenzialismo ateo.

Sartre distingue due tipi di esistenzialismo: uno cristiano, rappresentato da Karl Jaspers e Gabriel Marcel, e uno ateo, in cui pone Martin Heidegger, gli esistenzialisti francesi e se stesso. Ciò che hanno in comune queste due varianti è che entrambe sostengono una tesi fondamentale: l’esistenza precede l’essenza. Viene quindi rovesciato il rapporto che la metafisica tradizionale aveva stabilito tra essenza ed esistenza - rapporto secondo cui veniva riconosciuta una priorità della prima rispetto alla seconda - e si afferma l’autonomia del concreto, finito e imperfetto soggetto umano rispetto a modelli o archetipi assoluti riguardanti il suo essere e agire: “L’uomo esiste innanzitutto, si trova, sorge nel mondo, e si definisce dopo. L’uomo secondo la concezione esistenzialistica non è definibile in quanto all’inizio non è niente. Sarà solo in seguito, e sarà quale si sarà fatto. Così non c’e una natura umana, poiché non c’è un Dio che la concepisca. L’uomo non è altro che ciò che si fa.Questo è il principio primo dell’esistenzialismo”.



Scelta e responsabilità.

L’uomo pertanto diventa ciò che vuole e che sceglie di essere. Egli è totalmente responsabile della propria esistenza non solo per quanto riguarda se stesso ma anche per tutti gli altri uomini. Chi sceglie, sceglie per se e per tutti gli altri uomini; la scelta è assunzione di responsabilità che si manifesta in ogni situazione, anche in quelle che appaiono più lontane dalla nostra portata. L’individuo ha una responsabilità morale, di fronte a scelte che solo a lui spetta compiere, responsabilità per i significati che, in ragione di tali scelte, il mondo viene ad assumere:

Quando diciamo che l’uomo si sceglie, intendiamo che ciascuno di noi si sceglie, ma, con questo, vogliamo anche dire che ciascuno di noi,scegliendosi, sceglie per tutti gli uomini […] Così la nostra responsabilità è molto più grande di quello che potremmo supporre, poiché essa coinvolge l’umanità intera. Se io sono operaio e scelgo di fare parte di un sindacato cristiano piuttosto che essere comunista;se, con questa mia scelta voglio mostrare che la rassegnazione è, in fondo, la soluzione che conviene all’uomo, che il regno dell’uomo non è su questa terra, io non metto in causa solo il mio caso personale: io voglio essere rassegnato per tutti e, di conseguenza, il mio atto ha coinvolto l’intera umanità. E se voglio- fatto ancor più individuale- sposarmi, avere dei figli, anche se questo matrimonio dipende unicamente dalla mia situazione, o dalla mia passione, o dal mio desiderio, in questo modo io impegno non solo me stesso, ma l’umanità intera sulla via della monogamia. Così sono responsabile per me stesso e per tutti e creo una certa immagine dell’uomo che scelgo. Scegliendomi io scelgo l’uomo”.


Angoscia, abbandono, disperazione.

Sartre analizza quindi tre espressioni fondamentali dell’esistenza umana: angoscia, abbandono e disperazione. L’angoscia è legata alla solitudine in cui si trova l’uomo quando deve prendere una decisione: non c’è alcun segno in cielo o in terra che gli possa dire quello che deve fare, e la scelta è solo individuale. L’angoscia è quindi qualcosa che tutti coloro che hanno delle responsabilità conoscono: “Quando, ad esempio, un capo militare si assume la responsabilità di un assalto e manda un certo numero di uomini alla morte, egli sceglie di far ciò e, in sostanza sceglie da solo.Senza dubbio vi sono ordini che vengono dall’alto, ma essi sono troppo indeterminati ed è necessaria una interpretazione, la quale viene da lui,e da questa interpretazione dipende la vita di dieci, o quattordici, o venti uomini. Egli non può non avere, nella decisione che prende, una certa angoscia”.

L’altra figura fondamentale dell’esistenza, quella dell’abbandono, è, secondo Sartre, qualcosa di cui può cogliere appieno il senso e la ragione se si parte dall’assunto che Dio non esiste:

“Dostoevskij ha scritto: ‘Se Dio non esiste tutto è permesso’. Ecco il punto di partenza dell’esistenzialismo. Effettivamente tutto è lecito se Dio non esiste, e di conseguenza l’uomo è ‘abbandonato’ perché non trova , né in sé ne fuori di sé, senza possibilità d’ancorarsi[…]Se, d’altro canto, Dio non esiste, non troviamo davanti a noi dei valori o degli ordini che possano legittimare la nostra condotta. Cosi non abbiamo né dietro di noi né davanti a noi, nel luminoso regno dei valori giustificazioni o scuse.Siamo soli, senza scuse. Situazione che mi pare di poter caratterizzare dicendo che l’uomo è condannato a essere libero. Condannato perché non si è creato da solo, e ciò non di meno libero perché, una volta gettato nel mondo,è responsabile di tutto quanto fa”.

La disperazione, infine, è considerata da Sarte come quel sentimento che l’uomo prova quando prende atto che egli non può controllare tutte le possibilità che una situazione gli offre, ossia che non esiste alcuna necessità che presieda alle decisioni degli uomini.

Non abbiamo alcuna certezza che, dopo la nostra morte, i nostri desideri, progetti, idee saranno difesi o continuati da altri, perché ognuno è libero nelle proprie scelte, e la possibilità di avere dei continuatori non è che una fra le tante.



L’esistenzialismo si oppone alla passività.

Sartre rifiuta radicalmente l’accusa che l’esistenzialismo difenda un atteggiamento passivo verso la vita; al contrario essa fa dell’azione la caratteristica essenziale dell’uomo, affermando che il progetto è il modo d’essere costitutivo dell’uomo: “L’uomo non è nient’altro che quello che progetta di essere; egli non esiste che nella misura in cui si realizza”. Sartre traccia pertanto una teoria dell’azione, in cui ciò che conta non sono le intenzioni, le motivazioni, le condizioni che precedono l’azione, ma le nostre concrete decisioni effettivamente realizzate. Così il genio di scrittori come Marcel Proust e Jean Racine risiede nelle opere che hanno realmente scritto, e tutti coloro che non hanno realizzato i loro progetti, desideri, intenzioni non possono addurre giustificazioni patetiche o ridicole per i loro fallimenti. Non hanno realizzato i loro progetti perché non ne sono stati capaci. Da ciò il rifiuto sartriano di ogni tipo di determinismo (biologico o sociale) volto a fornire un qualsiasi pretesto per chi è stato sconfitto nella vita. Non si è vili o eroi per nascita, ma per scelta.



Soggettività e intersoggettività.

Sartre sostiene che l’esistenzialismo, nel difendere una morale dell’impegno, parta da una verità assoluta: l’io penso, dunque sono di Cartesio. Non vi può essere all’inizio altra verità se non la soggettività dell’individuo, la verità della coscienza che coglie se stessa. Questa è una realtà che ha si in se stessa la propria origine, ma che mi attesta che la nostra soggettività non è, come pensava Cartesio, individuale, perché nel cogito non si scopre soltanto se stessi, ma anche gli altri: “Con l’ ‘io penso’,[…] noi raggiungiamo noi stessi di fronte all’altro e l’altro è tanto certo per noi quanto noi siamo certi di noi medesimi. In questo modo l’uomo, che coglie se stesso direttamente col ‘cogito’, scopre anche tutti gli altri, e li scopre come la condizione della propria esistenza. Egli si rende conto che non può essere niente(nel senso in cui si dice che un uomo è spiritoso, oppure è cattivo, o che è geloso) se gli altri non lo riconoscono come tale.Per ottenere una verità qualunque sul mio conto, bisogna che la ricavi tramite l’altro. L’altro è indispensabile alla mia esistenza, così come alla conoscenza che io ho di me”.

Pertanto, anche se, come abbiamo visto, non è possibile trovare in ogni uomo un’essenza universale, che sarebbe la natura umana, esiste comunque una universalità della condizione umana, intesa come l’insieme dei limiti a priori che delineano la situazione fondamentale dell’uomo nell’universo. Le condizioni storiche dell’uomo possono variare ( si può nascere schiavi o signori), “ma non varia per lui la necessità d’essere nel mondo, di lavorarvi, di esistere in mezzo ad altri, di essere mortale”. E sebbene i progetti che ognuno attua possono essere diversi, nessuno li riconoscerà come del tutto estranei, “perché essi si presentano tutti come un tentativo di superare quei limiti, o di farli arretrare, o di negarli o di adattarvisi. Di conseguenza, ogni progetto, per quanto individuale esso sia, ha un valore universale.[…] Esiste una universalità di ogni progetto, nel senso che ogni progetto è comprensibile da ogni uomo”. Solo in questo senso possiamo dire che c’è una universalità dell’uomo.



La morale esistenzialista.

L’accusa che Sartre respinge con più fermezza è quella che egli sosterrebbe la gratuità dell’azione, ossia che essa sarebbe priva di motivazioni, di giustificazioni, in fondo irrazionale; e per questo motivo rifiuta anzitutto l’accostamento con André Gide e la sua concezione dell’atto gratuito. Sartre, infatti, con il termine “gratuito” intende dire che le azioni dell’uomo non obbediscono ad alcun imperativo categorico, né a un’essenza della natura umana perché alla loro base c’è sempre un atto di libertà, costitutivamente imprevedibile. Ma ciò non significa che le azioni e le scelte siano quel puro capriccio che muove i personaggi di Gide.

Sartre paragona l’atto morale all’atto artistico. Alla base di entrambi vi è infatti un atto d’invenzione, di creatività svincolata da qualsiasi regola; ma, d’altra parte, non si può tacciare di gratuità, ad esempio, la pittura di Picasso, le cui scelte hanno sempre una legittimità all’interno del suo universo artistico. Allo stesso modo la scelta morale dell’uomo ha una sua legittimità nella misura in cui alla base vi è la libertà e conseguentemente il rispetto della libertà degli altri uomini..



Caratteri dell’umanismo esistenzialista.

L’ultima critica mossa all’esistenzialismo riguarda il problema dei valori. Affermare la relatività dei valori, si dice, significa che si può sceglierne uno piuttosto che un altro, perché non hanno alcuna importanza. Sartre ribadisce che la negazione di Dio non significa negare ogni valore, ma solo che essi abbiano un fondamento trascendente. Per un esistenzialista la negazione di Dio è il primo passo da compiere per affermare la libertà e la dignità dell’uomo, perché solo se Dio non esiste l’uomo è totalmente responsabile di fronte alla vita. L’uomo è ciò che progetta di fare di se stesso attraverso l’azione. Egli ha un suo progetto fondamentale, liberamente scelto, secondo valori che non hanno alcun fondamento metafisico, ma sono inventati dall’uomo.

Sartre rifiuta pertanto quella teoria che fa dell’uomo un fine. L’uomo è quello che via via si progetta, si fa, senza un criterio assoluto in base al quale valutare le azioni come buone o cattive. L’uomo non è il punto di partenza ma il punto d’arrivo di un percorso che non ha un fine predeterminato. Non bisogna credere, secondo Sartre, a quell’umanismo che professa il culto dell’uomo e lo mette sugli altari - come fa Auguste Comte - perché quello è un umanismo chiuso in sé stesso. Da questa posizione emerge il carattere fondamentale che differenzia l’umanismo esistenzialista da quello tradizionale. Quest’ultimo è quello di cui tratta Jean Cocteau ne Il giro del mondo in ottanta ore, dove l’uomo viene considerato come qualcosa di compiuto e se ne tesse l’elogio solo per certi atti eccezionali. In tal caso la realtà umana non viene considerata come un farsi-definirsi che resta sempre aperto, inconcluso, e quindi problematico, bensì viene fissata nell’essere e trasformata in qualcosa di stabile.

L’umanismo esistenzialista, al contrario, affida all’uomo e a lui solo la possibilità e la responsabilità delle sue scelte, nella convinzione che egli possa trovare la via della sua liberazione. In questo senso l’esistenzialismo è una dottrina ottimistica perché esprime la fiducia nella maturità dell’uomo che può realizzarsi compiutamente senza l’aiuto di Dio né di valori assoluti.



da: lgxserver.uniba.it/lei/filosofi/schedeopere/sartre.htm

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