Joseph Ratzinger e il nome di Dio in " Gesù di Nazaret"

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adelfos
00domenica 8 giugno 2008 20:32


Nei miei ritagli di tempo sto leggendo il libro scritto dal prof. Joseph Ratzinger “ Gesù di nazaret”, un libro interessante che non scende in elucubrazioni tecniche e tediose, e che non si dilunga in dissertazioni filologiche, ma è un libro pratico e devozionale molto edificante che può essere letto benissimo anche dai non addetti al lavoro.

Voglio sottoporvi all’attenzione le pag.173/74 nelle quali il prof. esamina la questione del nome di Dio:

“Mosè chiede a Dio il suo nome, il nome con il quale questo Dio dimostra la sua particolare autorità di fronte agli altri dèi. L’idea del nome di Dio appartiene quindi inizialmente al mondo politeistico; in esso anche questo Dio deve darsi un nome. Ma il Dio che chiama Mosè è veramente Dio. Dio nel senso vero e proprio non esiste nella pluralità. Dio è per sua natura uno solo. Per questo non può entrare nel mondo degli dèi come uno dei tanti, non può avere un nome in mezzo agli altri nomi.
Così la risposta di Dio è insieme rifiuto e assenso. Egli dice di sé semplicemente: “Io sono colui che sono” Egli è, e basta. Questa affermazione è insieme nome e non nome. Perciò era assolutamente corretto che in Israele non si pronunciasse questa auto definizione di Dio percepita nella parola YHWH, che non la si degradasse a una specie di nome idolatrico. E pertanto non è corretto che nelle nuove traduzioni della Bibbia si scriva come un qualsiasi nome questo nome per Israele sempre misterioso e impronunciabile, riducendo così il mistero di Dio, del quale non esistono né immagini né nomi pronunciabili, all’ordinarietà di una comune storia delle religioni.
Resta però vero che Dio non ha semplicemente rifiutato la richiesta di Mosè, e per comprendere questo strano intreccio di nome e non nome dobbiamo renderci conto di che cos’è veramente un nome. Potremmo dire in modo molto semplice: il nome crea la possibilità dell’invocazione, della chiamata. Stabilisce una relazione. Se Adamo dà un nome agli animali, ciò non significa che egli esprima la loro natura, ma che li integra nel suo mondo umano, li mette nella condizione di poter essere chiamati da lui. Da lì capiamo ora che cosa, positivamente, sia inteso col nome di Dio:Dio stabilisce una relazione tra sé e noi, si rende invocabile. Egli entra in rapporto con noi e ci dà la possibilità di stare in rapporto con lui. Ma ciò significa: Egli si consegna in qualche modo al nostro mondo umano. E’ divenuto accessibile e perciò anche vulnerabile. Affronta il rischio della relazione e dell’essere con noi. Ciò che giunge a compimento nell’incarnazione ha avuto inizio con la consegna del nome. Di fatto vedremo una relazione sulla preghiera sacerdotale di Gesù che Egli lì si presenta come il nuovo Mosè:”Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini..” (Giovanni 17:6).
Ciò che ebbe inizio presso il roveto ardente nel deserto del Sinai si compie verso il roveto ardente della croce. Dio ora è davvero divenuto accessibile nel suo figlio fatto uomo. Egli fa parte del nostro mondo, si è consegnato, per così dire, nelle nostre mani”.


Insomma per Ratzinger le versioni bibliche non dovrebbero riportare il nome di Dio nel testo, con buona pace dei TdG.
Qualche commento?
A presto
adelfos
Maripak
00domenica 8 giugno 2008 21:11


Ciao Adelfos,

mi trovo d’accordo riguardo al pezzo iniziale che hai riportato e anche su quello che hai evidenziato, ma non mi sento del tutto d’accordo sull’ultimo pezzo:


“Se Adamo dà un nome agli animali, ciò non significa che egli esprima la loro natura, ma che li integra nel suo mondo umano, li mette nella condizione di poter essere chiamati da lui. Da lì capiamo ora che cosa, positivamente, sia inteso col nome di Dio:Dio stabilisce una relazione tra sé e noi, si rende invocabile. Egli entra in rapporto con noi e ci dà la possibilità di stare in rapporto con lui. Ma ciò significa: Egli si consegna in qualche modo al nostro mondo umano. E’ divenuto accessibile e perciò anche vulnerabile. Affronta il rischio della relazione e dell’essere con noi. Ciò che giunge a compimento nell’incarnazione ha avuto inizio con la consegna del nome. Di fatto vedremo una relazione sulla preghiera sacerdotale di Gesù che Egli lì si presenta come il nuovo Mosè:”Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini..” (Giovanni 17:6).
Ciò che ebbe inizio presso il roveto ardente nel deserto del Sinai si compie verso il roveto ardente della croce. Dio ora è davvero divenuto accessibile nel suo figlio fatto uomo. Egli fa parte del nostro mondo, si è consegnato, per così dire, nelle nostre mani”.

Il nome di Dio non può essere paragonato al nome che Adamo diede agli animali, in più, se come giustamente dice, Dio a Mosè diede un nome “non nome” per i motivi suddetti, Gesù quando disse “Ho fatto conoscere il tuo nome” di sicuro non intendeva il suo nome proprio (come quello che Adamo diede agli animali) ma la sua personalità rispecchiata in maniera perfetta da lui, infatti all’epoca i nomi propri di persona non volevano solo significare una specie di titolo per essere distinti dalle altre persone, bensì dovevano rappresentare la personalità della persona che li portava.

Ma forse ho capito male io.
Forse Ratzinger intendeva dire che a Mosè ha dato un nome che non permetteva appieno di capire la personalità di Dio, mentre Gesù, ricollegandosi all’episodio del roveto ardente, l’ha fatta conoscere.


Saluti, Maripak

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