[ECO] mafia ed economia nel mezzogiorno

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DarkWalker
00martedì 9 novembre 2010 12:11
Senza la mafia il Sud raggiunge il Nord

La mancata crescita del valore aggiunto delle imprese meridionali causata dalla presenza pervasiva della criminalità organizzata è valutabile in 7,5 miliardi di euro all'anno. La stima, interessando soltanto le imprese sotto i 250 addetti, fa riferimento alla metà, grosso modo, delle attività economiche meridionali e pertanto costituisce una cauta misura del fenomeno complessivo.

Tale volume di ricchezza non prodotta rapportata al valore del PIL del Mezzogiorno ne rappresenta il 2,5%. E questo tasso di zavorramento mafioso annuo, applicato allo sviluppo economico degli ultimi vent'anni, produce degli effetti considerevoli, poiché, come mostra il grafico allegato, se non avesse avuto modo di incidere negativamente sull'andamento della produzione, dall'81 ad oggi, il PIL pro-capite del Mezzogiorno avrebbe raggiunto quello del Nord.

A questi risultati è giunto uno studio svolto nell'ambito del programma «Cultura dello sviluppo e cultura della legalità nel Mezzogiorno» promosso dalla Fondazione BNC in collaborazione con il Censis. La ricerca ha coinvolto oltre 700 imprese meridionali sotto i 250 addetti.

L'ombra della criminalità sulle imprese non si manifesta solo in termini di mancata crescita economica ma anche di costi per dotarsi di sistemi di sicurezza, e questi ammontano a non meno di 4,3 miliardi di euro, pari al 3,1% del fatturato complessivo delle imprese considerate nella ricerca. Inoltre, il mancato valore aggiunto avrebbe potuto generare almeno 180.000 unità di lavoro regolari annue, ossia il 5,6% di quelle utilizzate attualmente dalle imprese fino a 250 addetti nel Mezzogiorno.

Tra gli imprenditori, risulta chiaramente in tale contesto, serpeggia un senso di sfiducia nei confronti delle Istituzioni, e anche verso le associazioni per la lotta al racket e all'usura: ben il 67% degli intervistati, infatti, ritiene che le associazioni per la lotta al taglieggiamento siano inutili e per un'ulteriore quota del 21% essi sono una pericolosa esposizione a ritorsioni da parte delle organizzazioni criminali.

Per il 24,3% degli imprenditori intervistati il contesto territoriale risulta molto insicuro, mentre solo il 21% ha dichiarato di non avere mai sentito parlare di attacchi criminali contro le imprese. Il senso di insicurezza risulta diffuso soprattutto tra i commercianti e tra gli imprenditori del manifatturiero e tra quelli del comparto turistico (albergatori e ristoratori).

Fa molto riflettere, da un lato, la forte denuncia di un contesto insicuro da parte delle aziende situate in Campania e Puglia (segno delle presenza di organizzazioni criminali sempre più forti e che non accennano ad allentare la pressione sulle imprese) e, dall'altro lato, il basso tenore di denuncia di atti criminali registrato tra gli imprenditori siciliani e calabresi, quasi a indicare, in queste regioni, un senso di assuefazione o di accettazione alla convivenza con fenomeni che distruggono intere parti del tessuto produttivo meridionale. Fa riflettere, dunque, come per il 78% degli imprenditori calabresi e per il 51,5% di quelli siciliani le attività criminali sul territorio sono "rare".

Resta il fatto che solo una minoranza del campione, pari al 38%, non ha mai sentito parlare di danni arrecati dalla criminalità alle imprese, mentre per i il 62% le aziende sono vittime di vessazioni o di imposizioni di vario tipo. Furti, danneggiamenti, estorsioni e rapine sono i reati di cui si sente maggiormente parlare, ma non manca chi, fra gli intervistati, denuncia "forme nuove di controllo" della criminalità sul sistema delle imprese.

Questo diffuso senso di paura spinge quasi il 70% degli imprenditori intervistati ad affermare che l'imprenditore subisce nel Mezzogiorno troppi condizionamenti esterni, tanto da non sentirsi completamente libero nelle proprie decisioni; e questo clima esasperato spinge il 25% a denunciare un'eccessiva difficoltà a "continuare la propria attività".

Lo stato d'animo, d'altronde, non può essere diverso se: il 65% degli intervistati rileva la presenza di atti di taglieggiamento nella propria zona e per il 14% questo tipo di attività risulta anche molto diffuso; per il 70% l'usura è largamente praticata; per il 26% le organizzazioni criminali impongono la loro manodopera alle imprese; per il 26% vi sono imprese costrette a ricorrere solo ai fornitori imposti dalle organizzazioni criminali; il 63,9% rileva la nascita improvvisa di grandi imprese capaci di spiazzare letteralmente (operando con prezzi molto contenuti) le aziende concorrenti, specie quelle di piccole dimensioni; per il 67% degli imprenditori contattati non sempre le assegnazioni degli appalti pubblici sono chiare e trasparenti.

Emerge pertanto un forte malessere, che in alcune ben delimitate aree della Campania e della Puglia è marcatamente evidente e che, invece, inaspettatamente, risulta meno evidente in Calabria e Sicilia. Forse per un sentimento di paura degli imprenditori o, peggio, per una pericolosa tendenza a considerare normali i fenomeni di intimidazione e di estorsione.

I Risultati della ricerca vengono presentati oggi alla Camera dei Deputati - Sala del Cenacolo da Gaetano Arconti, presidente Fondazione BNC, Giuseppe Roma, direttore generale Censis, Carlo Vizzini, membro Commissione parlamentare antimafia e presidente Commissione questioni regionali, Claudio De Albertis, presidente Ance, Piero Luigi Vigna, procuratore nazionale antimafia, Giuseppe De Rita, segretario generale Censis, Alfredo Mantovano, sottosegretario Ministero dell'Interno.

Roma, 20 febbraio 2003
Caio Logero
00mercoledì 10 novembre 2010 16:22
Il dato è importante. Però è vecchio, del 2003. Per il resto la Mafia ingurgita tutto: dal lavoro delle imprese ai finanziamenti pubblici.
DarkWalker
00mercoledì 10 novembre 2010 17:14
Re:
Caio Logero, 10/11/2010 16.22:

Il dato è importante. Però è vecchio, del 2003. Per il resto la Mafia ingurgita tutto: dal lavoro delle imprese ai finanziamenti pubblici.




un giorno ho assistito a una conferenza di un magistrato (Piergiorgio Morosini) il quale ci aveva detto che uno dei modi di riscossione del pizzo che diventavano più frequenti per la mafia era proprio ricattare l'imprenditore (spesso compiacente, spesso tale proprio con il capitale proveniente dalla mafia) mettendogli alle dipendenze dei lavoratori. Insomma, una lista di collocamento. la cosa mi aveva molto colpito e adesso l'ho ritrovata in questo -vecchio- rapporto.
Mi aveva colpito perchè a suo modo è emblematico del ruolo della mafia: da una parte svolge le funzioni dello stato (riscuote tasse, trova lavoro), dall'altro promuove consenso (trova lavoro) anche tra chi non è che abbia molto da essere colluso e governa il territorio perchè ormai, quell'azienda, quyell'impresa, finiscono doppiamente a libro paga della malavita. Se ipoteticamente quel dato di lavoro volesse ribellarsi avrebbe contro anzitutto i suoi stessi dipendenti, e viceversa.
Caio Logero
00mercoledì 10 novembre 2010 17:45
Re: Re:
DarkWalker, 10/11/2010 17.14:




un giorno ho assistito a una conferenza di un magistrato (Piergiorgio Morosini) il quale ci aveva detto che uno dei modi di riscossione del pizzo che diventavano più frequenti per la mafia era proprio ricattare l'imprenditore (spesso compiacente, spesso tale proprio con il capitale proveniente dalla mafia) mettendogli alle dipendenze dei lavoratori. Insomma, una lista di collocamento. la cosa mi aveva molto colpito e adesso l'ho ritrovata in questo -vecchio- rapporto.
Mi aveva colpito perchè a suo modo è emblematico del ruolo della mafia: da una parte svolge le funzioni dello stato (riscuote tasse, trova lavoro), dall'altro promuove consenso (trova lavoro) anche tra chi non è che abbia molto da essere colluso e governa il territorio perchè ormai, quell'azienda, quyell'impresa, finiscono doppiamente a libro paga della malavita. Se ipoteticamente quel dato di lavoro volesse ribellarsi avrebbe contro anzitutto i suoi stessi dipendenti, e viceversa.



Ma la Mafia dove funziona si sostituisce allo stato, totalmente.
Vota DC
00venerdì 12 novembre 2010 00:55
La polpa delle imprese meridionali fattura a Roma. Altro che mafia (anche perchè paradossalmente buona parte della mafia, come dice Saviano, è "legale"), è lo stato che costringe a politiche suicide (assumi perchè è un mio amichetto eccetera eccetera) dal 1861.
DarkWalker
00venerdì 12 novembre 2010 08:44
mah oddio non credo proprio. Ci sono documenti giudiziari che dimostrano appunto che il pizzo (non i favori, le raccomandazioni o il magna magna politico) viene riscosso anche imponendo la mano d'opera.
Sopratutto in questo periodo bisogna tenere gli occhi aperti perchè le imprese con la crisi e le banche che non prestano più hanno bisogno di liquidità che possono trovare ovviamente nella mafia.
Caio Logero
00venerdì 12 novembre 2010 21:02
Lo stato ci centra molto
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